Secondo le elaborazioni condotte dall’Ufficio Studi della Confappi (Confederazione piccola proprietà immobiliare), Roma, Torino e Bologna sono le tre città in cui l’IMU sugli affitti è più alta.
Si evidenzia che il caro-IMU dipende sia dalle decisioni comunali ma, soprattutto, dalle differenze tra le rendite catastali che, di fatto, condizionano la base imponibile su cui si applica l’aliquota locale: mediamente le grandi città hanno valori catastali più elevati, così come avviene anche per l’abitazione principale e le seconde case sfitte.
Tuttavia, per gli affitti, entrano in gioco anche altre due variabili, affidate alle scelte delle singole Amministrazioni comunali:

  • la possibilità che agli affitti a canone libero si applichi un’aliquota più bassa di quella ordinaria e
  • l’eventualità che ci sia un’ulteriore riduzione per le locazioni concordate;

e qualora la quadratura del bilancio comunale sia particolarmente difficile, non è raro imbattersi in delibere che tassano con l’1,06 per cento tutti gli immobili diversi dalla prima casa, comprese quindi le abitazioni sfitte e quelle affittate.
Le sperequazioni del prelievo IMU sugli affitti vanno anche confrontate con i canoni medi ma è ancora presto per dire se (e come) queste disparità influenzeranno gli investimenti ma la tentazione di avviare una sorta di “arbitraggio catastale” tra le città potrebbe fare capolino tra gli operatori più attenti. (Il Sole 24 Ore del 20 novembre 2012, pag. 25, Cristiano Dell’Oste )